Editoriale n. 1 2019

di Aristide Police

Tra le molte tematiche che vengono approfondite in questo numero di Diritto dell’Economia vi è quella del diritto della concorrenza, sia in una prospettiva di private enforcement, sia in relazione agli aiuti di Stato in un particolare mercato. Anche questo editoriale – pur brevemente – si sofferma sul diritto antitrust e ciò in ragione di un dibattito tornato assai vivace in una recente occasione congressuale[1],  anche grazie ad una significativa e recente pronuncia della Corte costituzionale, la sentenza 31 gennaio 2019, n. 13, redattore il Pres. Giancarlo Coraggio.
Non è certo questa la sede per un commento della sentenza della Consulta, che peraltro (e per antico convincimento sulla “politicità” delle decisioni in tema di concorrenza) pienamente si condivide. L’obiettivo è invece quello di porre un interrogativo alla Comunità degli studiosi del diritto dell’economia, un interrogativo sull’inevitabile posizione del Giudice amministrativo come giudice di full jurisdiction sulle sanzioni antirust. Ci si domanda quanto incida sul sistema del Public enforcement disegnato dal legislatore del 1990 il sempre più penetrante diritto del Giudice di dire “l’ultima parola” in materia di sanzioni antitrust.
Il dubbio che si prospetta, e cui non si intende certo dare risposta in questa breve pagina, è che il potere sanzionatorio vada in concreto a trasferirsi in capo al Giudice, trasformando la funzione dell’Autorità in quella di “pubblico ministero della concorrenza”.
Dal punto di vista teorico, questo dubbio è smentito dalla stessa sentenza della Corte costituzionale, che con rassicurante rispetto del dato normativo che connota il nostro ordinamento, da un lato  ci ricorda come non sia «revocabile in dubbio che l’Autorità Garante della Concorrenza e per il Mercato svolg(a) le sue funzioni esercitando non solo discrezionalità tecnica ma anche amministrativa, assumendo decisioni tipiche di una pubblica Amministrazione» e, dall’altro lato, nel prevedere che «i provvedimenti dell’Antitrust sono dunque sottoposti al vaglio del giudice amministrativo al pari di qualsiasi altro provvedimento» amministrativo, delimita con precisione la funzione propria di quel giudice.
Dal punto di vista concreto tuttavia, se si prendono in considerazione i dati del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (giudice con competenza funzionale inderogabile ed esclusiva sulla materia in primo grado), si avrà modo di riscontrare la straordinaria frequenza con la quale le sanzioni in materia di intese e pratiche concordate vengono annullate e riformate dal Giudice. Si tratta di un dato di realtà che incide inevitabilmente sulla sostanza e sull’equilibrio dei poteri esercitati dall’Amministrazione e dal Giudice.
È forse opportuno interrogarsi se non sia necessario uno sforzo per ridurre questa “invadenza” del Giudice amministrativo.
Si badi, non si auspica come pur in un passato (invero oggi remoto), la eliminazione gradi di Giurisdizione o la riduzione dell’effettività della tutela giurisdizionale o dei poteri del giudice; soluzione questa peraltro inconciliabili con le previsioni del diritto europeo in materia di full jurisdiction. Si sollecitano i lettori a interrogarsi sulla possibilità per l’Autorità Garante in questa nuova stagione di valorizzare al meglio il contraddittorio procedimentale, di assicurare con maggior scrupolo la solidità dell’impianto probatorio e motivazionale dei provvedimenti, di sviluppare una più accentuata sensibilità in termini di ragionevolezza e proporzionalità delle sanzioni.


[1] Il riferimento è al V Convegno dell’Associazione Antitrust Italiana che si è tenuto a Firenze nel maggio 2019.

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